Intelligenza Artificiale

Quando i compiti li fa l’AI: guida per genitori e studenti

Scritto da Giulia Dall'Aglio di Tecnologia Familiare - 26/09/2025

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“Hai già finito i compiti?”

“Ma sì, mamma… L’ho fatto con ChatGPT!”


Questo è un dialogo che inizia a risuonare in molte famiglie quando si parla dei compiti. A questo punto, alcuni genitori si arrabbiano, altri sorridono senza sapere bene cosa dire, altri ancora si complimentano e sono fieri delle capacità dei propri figli.

Gli studenti, dal canto loro, oscillano tra l’orgoglio di essere in grado di utilizzare uno strumento che tutti dicono essere davvero potente e il dubbio di aver “barato” un po’.

Il punto è che l’AI è già entrata nelle nostre case e i ragazzi la stanno già usando, a volte di nascosto, a volte dichiarandolo apertamente.

Allora la vera domanda non è “devo vietarla?” ma “come possiamo viverla insieme?”.


ChatGPT come scorciatoia sì, ma non sempre negativa

Usare l’AI per i compiti significa tante cose diverse. Per qualcuno è uno stimolo e un aiuto per partire: leggere una spiegazione chiara, farsi tradurre una frase difficile, ottenere un riassunto di un testo. Per altri, non solo adolescenti, è un modo per finire prima e liberarsi del pensiero.

Entrambe le situazioni hanno una logica: lo studio può essere faticoso, a volte troppo, e cercare di ridurre il livello di frustrazione è molto umano.

Come ormai sappiamo, c’è un rischio: se l’AI sostituisce sempre la fatica, il ragazzo impara meno a gestire l’impegno, la concentrazione e tutte le emozioni ad esse collegate..

In famiglia è importante parlarne apertamente, cercando di evitare i toni moralistici, ma con curiosità.

Possiamo, per esempio, nel dialogo precedente rispondere così: “L’AI ti è servita per capire meglio, o solo a fare più in fretta?”. È una domanda semplice, che sposta l’attenzione dal compito al modo in cui viene vissuto.

Le emozioni dietro lo schermo

Noi adulti, soprattutto quando vestiamo il cappello del genitore, siamo soliti pensare che i nostri figli, e quindi tutti i ragazzi, usino il digitale solo per comodità, perché sono pigri e non hanno voglia di fare.

In realtà, dietro c’è molto di più. Un adolescente potrebbe provare a usare l’AI per:

  1. imparare davvero qualcosa (“finalmente ci capisco qualcosa”)
  2. sentirsi più potente (“non mi serve studiare, fa tutto lei”)
  3. colmare una propria insicurezza (“non sarei mai stato capace da solo” , “lo chiedo all’AI così non nessuno mi sente”).

Qui il genitore ha un ruolo chiave: non giudicare l’uso in sé, ma riconoscere e aiutare a nominare le emozioni che lo accompagnano. Perché capire come ci si sente usando un nuovo strumento è parte dell’educazione digitale.

Un piccolo esercizio può essere quello di condividere la nostra esperienza per poi chiedere: “Ma tu, quando usi ChatGPT per i compiti, come ti senti? Perchè a me capita che…”.

La risposta potrebbe aprire uno spazio di dialogo che spesso sorprende.


Non sempre il divieto è la strada giusta

Molti genitori, spaventati da una tecnologia che ancora conoscono poco e le cui conseguenze non sono del tutto ancora note, pensano che vietare sia la soluzione.

I divieti assoluti, però, raramente funzionano e, in questo caso, ancora meno. Tutti noi usiamo l’AI tutti i giorni in svariati ambiti. Ogni applicazione possibile, quest’estate, ha aggiunto un assistente AI senza che lo richiedessimo.

I ragazzi non hanno neanche bisogno di cercare strade alternative per riuscire ad usare l’AI in qualche modo. Hanno tutte le possibilità a portata di mano.

Quello che succede se noi la vietiamo è che smettono di condividere e di raccontare quello che fanno.

Meglio allora un accompagnamento graduale:

  1. con i bambini più piccoli, non c’è fretta nè bisogno ma, se lo desideriamo, l’AI può essere usata solo insieme all’adulto, come un gioco condiviso
  2. con gli adolescenti, può diventare occasione di confronto: “Mostrami cosa ti ha risposto, secondo te è corretto? Come possiamo verificarlo? Proviamo a vedere come avrebbe risposto se l’avessimo chiesto in quest’altro modo?”.

Non è un lasciar fare senza limiti, ma un dare cornici chiare. Ad esempio: “Puoi usare ChatGPT per avere spunti, ma alla fine mi racconti cosa hai capito con parole tue perché domani a scuola ci vai tu, non il chatbot”.

Spesso i genitori pensano di dover avere la risposta giusta per ogni situazione.

Nell’educazione digitale non può essere così e quando si parla di educare all’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, ancora meno!

Un modo molto potente per accompagnare i ragazzi, in questo caso, è condividere come e perché noi stessi usiamo l’AI.

Ad esempio:

  1. “L’ho usata per prepararmi a una riunione, ma poi ho dovuto verificare le informazioni e per fortuna che l’ho fatto, altrimenti rischiavo di fare una brutta figura”.
  2. “Ho chiesto consigli per un viaggio, però li ho confrontati anche con altre fonti perché non volevo il solito itinerario standard, lo volevo personalizzare io. Però mi ha dato ottimi spunti da cui partire!”.
  3. “Ho provato a farmi scrivere un testo, ma ho capito che senza modifiche tutti avrebbero capito subito che non l’avevo scritto io, era molto impersonale, diverso da come lo avrei scritto io”.

In questo modo mostriamo che l’intelligenza artificiale non è un tabù, non va usata di nascosto e non c’è niente di male nel farlo. A patto di ricordare che non è onnipotente, non sa tutto, non ha sempre ragione ma le sue risposte vanno integrate alle conoscenze che abbiamo già, con senso critico.


Cosa possono fare i ragazzi (oltre a chiedere all’AI)

Anche gli studenti hanno una bella responsabilità: non limitarsi a copiare, ma allenarsi a usare l’AI come trampolino. E se noi adulti ci ricordiamo almeno un po’ cosa significa essere studenti, possiamo riconoscergli la difficoltà di questo compito!

Ecco alcune idee per stimolare i propri figli ad un uso consapevole dell’AI:

  1. Chiedere all’AI una spiegazione difficile, e poi provare a riscriverla con parole proprie.
  2. Usare l’AI per generare esempi, inventarne di nuovi senza aiuto, proporli all’AI e chiederle cosa ne pensa.
  3. Confrontare le risposte dell’AI con quelle del libro di scuola: cosa c’è di diverso? cosa manca? In cosa è migliore l’AI? Come mai alcune informazioni non ci sono sul libro?
  4. Chiedere all’AI: “Il mio insegnante domani interroga su questo argomento. Mi fai le domande che mi farebbe lui? Immagina di avere una bella/brutta giornata”.

In questo modo l’AI diventa un allenatore, non un sostituto.

Il più grande dono che possiamo fare ai nostri figli è quello di imparare a fare (e a farsi) le domande, non tanto dare le risposte.

Una persona che sa fare la domanda corretta, specifica, precisa sicuramente sa di cosa sta parlando e sta andando nella giusta direzione per un vero apprendimento.

Sicuramente la sfida più grande per genitori e studenti è accettare l’incertezza e scegliere di stare lì lo stesso, senza scappare, senza cercare scorciatoie, senza fare finta che non esista.

Ancora non sappiamo esattamente come l’AI cambierà la scuola, né quali competenze saranno davvero necessarie tra vent’anni. Quello che sappiamo per certo è che il pensiero critico, la capacità di fare domande e la curiosità resteranno fondamentali e il nostro ruolo educativo deve andare verso questi obiettivi e autonomie.

Per questo motivo credo che l’AI non debba essere né mitizzata né demonizzata. È uno strumento, e come ogni strumento prende valore da come lo usiamo. Se diventa occasione di dialogo tra genitori e figli, allora non è una minaccia, ma un’opportunità educativa.

In fondo, la vera domanda, che forse riusciamo a porci davvero solo da adulti, non è tanto “Ma l’hai fatto con Chat GPT?", quanto: “Cosa hai scoperto di te stesso usandolo?”.

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