Intelligenza Artificiale

Che ruolo ha il genitore nell’era dell’AI?

Scritto da Giulia Dall'Aglio di Tecnologia Familiare - 24/09/2025

Torna agli articoli Immagine di copertina per Che ruolo ha il genitore nell’era dell’AI?
  1. Non devi essere esperto, ma guida attenta
  2. Favorire il pensiero critico con domande, non giudizi
  3. Modellare l’uso consapevole (anche noi usiamo l’AI?)
  4. Accettare la complessità invece di cercare ricette rapide

Che ruolo ha il genitore nell’era dell’AI?

Un giorno, non tanto remoto, potresti tranquillamente ritrovarti in una situazione del genere: tuo figlio adolescente apre ChatGPT per completare un compito, oppure ti chiede "Mamma, è vero che c’è un algoritmo che decide cosa mi appare sui social? E come fa?". In quei momenti, inevitabilmente, la pressione sale.

Devo essere pronto a rispondere?

L’intelligenza artificiale, in svariate forme, è entrata, in modo fulmineo e senza chiedere il permesso, nella scuola, nei giochi, nei social e nella vita quotidiana. Il compito del genitore, oggi molto più di ieri, non è offrire risposte tecniche, ma ascolto.

In questo preciso istante ci troviamo all’inizio di una trasformazione enorme, in grado di modificare non solo gli strumenti, ma anche i processi mentali, sia nostri sia dei nostri figli. Loro, in più, affrontano le fasi evolutive in un ambiente dove l'accesso all'informazione è istantaneo, dove le decisioni sono influenzate da algoritmi invisibili e dove la relazione tra uomo e macchina si fa sempre più profonda.

In questo scenario, i genitori non possono diventare figure antiche, ormai superate già a trent’anni: il loro ruolo è più che mai fondamentale. Per questo motivo serve un cambio di prospettiva. L'autorevolezza non è data dalla competenza tecnica, ma dalla capacità di accompagnare anche nell’incertezza, e saper domandare, senza dare per forza risposte.

La sindrome dell'impostore tecnologico

Molti genitori si sentono inadeguati davanti alle tecnologie che progrediscono tutti i giorni, si sentono tagliati fuori e si convincono di non avere nulla da insegnare. È frequente sentire nei loro discorsi frasi del tipo “ne sanno molto più di noi, ormai è così” oppure “non possiamo farci nulla”. Educare, però, non significa essere sempre in grado di fornire risposte enciclopediche: significa porre domande, accompagnare nella scoperta ma anche saper mettere in discussione.

Riuscire a dire "Non lo so, scopriamolo insieme" richiede coraggio, è vero, ma è un gesto importante.

Il timore di non essere all’altezza rischia di creare distanza tra noi e i nostri figli. Spesso, per mascherare il nostro bisogno di tempo per capire meglio una certa tematica, adottiamo atteggiamenti rigidi, imponendo divieti, oppure eccessivamente permissivi, lasciando che facciano da soli. In entrambi i casi, stiamo perdendo l’occasione di costruire un dialogo autentico.

Eppure, è proprio questo senso di disorientamento che può diventare un ponte verso i figli. Accettare di essere anche noi in apprendimento, mostrare anche le nostre vulnerabilità, condividere i dubbi tecnologici, non ci rende deboli: ci rende umani. E i figli, oggi, non chiedono genitori infallibili, chiedono adulti presenti.

Dal controllo all’esplorazione condivisa

Anziché metterci di traverso e vietare strumenti come ChatGPT o altre AI generative, perché non esplorarli insieme?

Quando riteniamo che i nostri figli siano pronti, possiamo sederci accanto a loro, porre domande all’AI insieme e analizzare le risposte. Questo approccio riduce l’ansia, stimola la curiosità reciproca e rafforza il legame. L’esplorazione condivisa si è rivelata essere più efficace del controllo ed è più educativa del divieto. Certo, richiede tempo.

Come possiamo mettere in pratica questo approccio nella vita quotidiana?

Ecco alcune idee:

  1. proviamo a chiedere all'AI una definizione molto complicata, leggiamola insieme, e riscriviamola in modo semplice.
  2. Poi chiediamo all’AI di riscrivere la stessa definizione come se la stesse spiegando a un bambino di 5 anni.
  3. Notiamo differenze? Come potremmo aggiungere il nostro “quid umano”?

In questo modo, l'AI non è solo strumento, ma occasione di dialogo, confronto, scoperta reciproca.

L’arte di fare domande

Educare in un mondo complesso come quello dell’AI significa principalmente sviluppare pensiero critico.

Come si può fare?

Con domande aperte.

"Perché pensi che questa risposta sia corretta?", "Cosa manca in quello che ha detto l’AI?", "Hai notato dei pregiudizi o delle semplificazioni?".

Le domande aprono spazi di riflessione, mentre i giudizi li chiudono. Con le domande possiamo allenare quella parte del cervello che ci permette di discernere tra informazione e opinione, tra verità apparente e significato profondo. In un’epoca di risposte rapide, la capacità di fermarsi a riflettere diventa un’abilità fondamentale.

Un esempio potrebbe essere quello di riflettere sulle risposte dell'AI che sembrano "troppo perfette":

  1. cosa vuol dire una risposta plausibile ma non vera?
  2. L’AI è in grado di distinguere il vero dal falso?
  3. È dotata di pensiero critico?

Chiediamoci, da genitori, se i nostri figli hanno mai ricevuto un consiglio da un'app che non avrebbero seguito, e perché. L'importante non è semplificare e trovare soluzioni, ma restare nel campo dell'ambiguità, del possibile: è quello il terreno dove germoglia il pensiero critico.

Meno sentenze, più dialogo

La storia ci insegna che davanti a tecnologie nuove, digitali o meno, tendiamo a reagire con frasi nette come "Non fidarti", "Non serve a niente", "Può fare male". È già successo più volte in passato. Dando subito una risposta, una nostra soluzione, rischiamo di comunicare diffidenza e di chiudere la conversazione.

Al contrario, un dialogo aperto può lasciare ai nostri figli lo spazio per creare un loro pensiero, esprimerlo, porre dubbi e maturare una visione complessiva che probabilmente cambierà più volte nel tempo. Tutto questo processo è prezioso: il pensiero critico si costruisce nella lentezza, non nei giudizi affrettati.

Lasciamo quindi spazio alle sfumature. Se nostro figlio ci dice: "ChatGPT mi ha aiutato a finire prima i compiti", possiamo rispondere: "Interessante, secondo te in cosa ti ha aiutato davvero? Cosa sei riuscito a comprendere meglio grazie a lui? Secondo te potrei usarlo anche io?".

Il potere dell’esempio

I bambini non fanno quello che diciamo, fanno quello che ci vedono fare. Se usiamo l’AI per cercare tutto, se accettiamo le risposte senza verificarle, se non raccontiamo i nostri dubbi, stiamo insegnando inconsapevolmente che la tecnologia è infallibile. Se la denigriamo sempre, ci rifiutiamo di usarla per partito preso e critichiamo chiunque la utilizzi, comunichiamo che è sbagliato usarla e che chi la usa è nel torto. Al contrario, possiamo mostrare che anche noi, se e quando ci serve, la interroghiamo, la mettiamo in discussione, la usiamo con senso critico.

Raccontare il nostro processo decisionale è essenziale: "Ho chiesto all'AI un consiglio per un acquisto, ma poi ho confrontato le recensioni. Alla fine ho scelto quello che mi aveva consigliato l’AI, ma me ne sono reso conto solo alla fine". Oppure: "Ho usato un’app per pianificare un viaggio: è stata utile per trovare tappe e hotel, ma ho dovuto comunque rivedere tutto con attenzione. Alcune informazioni non erano aggiornate".

Non puntare ad essere un esperto, ma piuttosto una guida attenta

Molti strumenti basati su AI sono già nella nostra vita: mappe intelligenti, traduttori, chatbot, filtri social.

Condividere con i figli cosa facciamo, perché e con quali dubbi, è un modo per modellare un uso consapevole. Un semplice: "Guarda, ho usato ChatGPT per prepararmi a una riunione, ma poi ho verificato i dati, altrimenti il rischio di fare una brutta figura era dietro l’angolo" vale più di mille raccomandazioni astratte.

Fare "outing" del proprio uso dell'AI non toglie autorevolezza: la rafforza. Mostra che questa tecnologia non è onnipotente, ma parte di un processo che include giudizio, valori, scelte. Senza queste abilità e capacità vale molto meno di quanto si creda erroneamente. E rende i figli più inclini a condividere a loro volta, invece di nascondere.

La vera competenza del futuro non sarà solo usare l’AI, ma convivere con la sua ambiguità. Insegnare ai figli a tollerare il dubbio, a confrontare fonti, a distinguere tra informazione e persuasione, è il dono più grande che possiamo fare.

Genitori, siete già abbastanza

Non serve diventare programmatori o esperti digitali per accompagnare i figli nel mondo dell’AI. Serve esserci, con domande piuttosto che risposte, con coerenza piuttosto che perfezione. Se restiamo curiosi, trasparenti e disponibili al confronto, il nostro ruolo si rafforza. L’AI non ci sostituisce come educatori, ma ci chiede di evolvere. Ed è una sfida che dobbiamo accettare e abbracciare, se vogliamo davvero accompagnare i nostri figli in questo percorso.

Non riusciremo mai a controllare ogni singolo strumento, ma possiamo costruire una relazione solida, aperta e dialogica. In un mondo sempre più automatizzato, il valore dell'umanità, della conoscenza e della presenza consapevole diventa ancora più prezioso.

Se questo articolo ti è stato utile e ti ha dato nuovi spunti, prova subito le funzioni di askLea e scopri come può supportarti ogni giorno!

Commissione Europea – Guida “AI for Parents”

https://better-internet-for-kids.europa.eu/en/resource-directory/ai-parents


Parlamento Europeo – Children and Generative AI (2024) https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2025/769494/EPRS_ATA%282025%29769494_EN.pdf


Pro Juventute – Educazione digitale e ruolo dei genitori

https://www.projuventute.ch/it/genitori/famiglia-e-societa/modello-genitori


Common Sense Media – Come l’AI impatta i bambini (0–8 anni)

https://www.commonsensemedia.org


Philosophy for Children – Pensiero critico per bambini

https://it.wikipedia.org/wiki/Philosophy_for_Children


Agenda Digitale – Bambini e AI: tutti i diritti in gioco

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/bambini-e-intelligenza-artificiale-tutti-i-diritti-in-gioco-e-come-bilanciarli/

Torna agli articoli